Occhio...Diabasis Ballet

3.jpgsguardi danzanti per genova
fotografie di Stella Lombardo e Cristina Piccardo
OpenLab in Compagnia Unica
Via S.Vincenzo 102/104 r - 16121 Genova
13 Dicembre 2008/31 Gennaio 2009

 

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La fotografia come noi la intendiamo è espressione di un pensiero, la danza contemporanea è esternazione di una profonda interiorità: abbiamo unito il nostro obiettivo alle raffinate coreografie di Maria Grazia Sulpizi e alla freschezza e duttilità, oltre che rigore tecnico, della sua giovane compagnia per raccontare una nostra idea di Genova. E ci è sembrato che la città, con le sue architetture, le sue piazze, i suoi scorci, ci girasse intorno, ponendo le sue linee e le sue armonie in sintonia con le nostre.

 

Fotografare significa fissare lo sguardo, ma anche in un certo senso liberarlo.
Infatti fotografare significa isolare visioni degne di nota, ma anche crearne di nuove.
Fotografare dunque significa ora scoprire armonie preesistenti, ora comporne d’inedite.
Insomma fotografare significa a volte armonizzare la realtà con l’immaginazione.
Fotografare allora significa anche dirigere forme come strumenti, in modi pure musicali.

Musica può esserci non solo di suoni, ma pure di forme.
Ritmi di forme, di sicuro; armonie di forme, anche; e melodie di forme, forse persino.
Vuoti come silenzi. Linee come note tenute lunghe. Tratteggi come sostrati percussivi.
Diagonali: ascendenti e discendenti. Mossi: presto, prestissimo. Grandangoli: largo, maestoso.
Masse: rimbombi. Angoli acuti: acuti. Punti di fuga: fughe. Scale: scale.

È allora che, quando certe forme vi danzano, le città risuonano e cantano.
Il mare in sottofondo, le architetture ogni tanto svettano, il traffico si fa ritmico.
I muri s’impongono, le pietre battono il tempo, i selciati frusciano e ticchettano.
I corpi s’involano, le braccia si allargano, le gambe sforbiciano, i respiri crescono.
Le teste roteano e le orecchie vedono. Il cuore balla e la bocca sorride. Lo sguardo ascolta.

                                                                                                 Ferruccio Giromini

IMMAGINI SOSPESE

Presentazione di Elisa Scuto

Si può innovare nella tradizione, si può contaminare mescolando fotografia e danza, pittura e fotografia: tre forme d’arte per tre linguaggi che cercano la loro espressione nel contemporaneo. Sia esso incarnato nelle architetture e nei monumenti delle nostre città, in questo caso luoghi di Genova particolarmente ricchi di valore simbolico e di suggestioni (il porto, Piazza de Ferrari, San Lorenzo…) oppure dai nostri bambini in carne ed ossa, con le loro paure, le loro ansie, che sono poi anche le nostre.

Saranno subito le idee di Stella Lombardo e Cristina Piccardo, accompagnate dalle coreografie di Maria Grazia Sulpizi, ad invadere gli spazi dell’intero negozio di Compagnia Unica - non solo di Open Lab - salendo fino al bar, prendendo le sembianze di eleganti scene in bianco e nero. Scatti in cui l’armonia dei corpi e dei gesti convivono con la bellezza delle scenografie urbane per aprire la nostra immaginazione, suggerire storie, esaltare il potere creativo dell’immagine. Due forme d’arte, fotografia e coreografia, che una dentro l’altra moltiplicano la valenza comunicativa della visione perchè condividono la medesima idea di partenza: la volontà di fondersi con la città per celebrarla.

E se le nostre fotografe amano la contaminazione con altre forme d'arte, pur partendo dalla tecnica purissima della fotografia analogica stampata in bianco e nero, anche Simone Lammardo realizza, con una tecnica classica come l’olio su tela, quadri che assomigliano a scatti in bianco e nero per il taglio delle inquadrature, ma soprattutto per l’incarnato grigio e sbiadito dei protagonisti, bambini circondati da un mondo che resta colorato, seppure con tinte pallide e opache, nell’atmosfera offuscata del sogno e del ricordo.

Lammardo nelle sue opere non vuole raccontare, ma al massimo descrivere uno stato d’animo, una condizione umana avulsa da riferimenti spazio-temporali precisi. Non c’è più spazio per una comunione con la realtà che ci circonda, ma solo per citazioni fumettistiche o pubblicitarie. I corpi sono impacciati o sproporzionati, le espressioni troppo adulte. L’armonia lascia il posto all’ambiguità, all’ironia, allo straniamento.

Titoli come “Le cose mai scritte”, “Il presagio”, “Oltre” rievocano radici surrealiste; i dettagli precisi, i contorni netti, accostamenti talvolta incongrui (il corpo scolpito del bambino ne “L’ostaggio” ) rievocano lo stesso effetto spiazzante, le sgocciolature di colore come dissolvenze calano il sipario su scenari incoerenti. Lammardo in “I love…” sembra coniugare persino pop-art e astrattismo, per comunicarci con il gioco dei riferimenti e della “pittura di sospensione” come la definisce lui stesso, angosce e solitudini del nostro tempo.