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Fermo&Mosso/Spazi corpi tempi Stampa E-mail

Martti Jämsä, dalla serie Summertime, 1996, courtesy Galleria Heino Helsinki Orizzonti freddi
9 talenti fotografici dei paesi nordici europei
videoproiezione a cura di Stella Lombardo e Cristina Piccardo
testo critico di Ferruccio Giromini 
Musei di Nervi, Raccolte Frugone, Villa Grimaldi Fassio, Via Capolungo 9, Genova Nervi
7 Marzo/26 Aprile 2009 

 

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Dag Alveng (Norvegia)
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Soffía Gísladóttir (Islanda)
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Martti Jämsä (Finlandia) Courtesy Galleria Heino, Helsinki

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Adam Jeppesen (Danimarca)

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Gerry Johansson (Svezia)

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Maria Kjartansdóttir (Islanda)
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Jeanette Land Schou (Danimarca)
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Susanna Majuri (Finlandia) Courtesy Galerie Adler, Francoforte
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Herdis Maria Siegert (Norvegia)
OBIETTIVO NORD 
In genere il paesaggio pittorico lascia un certo spazio alla libertà creativa dell’autore. Qualsiasi ambiente naturale dipinto, infatti, può essere facilmente idealizzato. La sua valenza realistica può essere trascesa dalla personalità dell’artista che ha deciso di affrontarlo e, magari, di modificarlo in particolari più o meno impercettibili a proprio piacimento. Le luci, le presenze, tutte le sue componenti possono subire variazioni anche di rilievo: intanto non c’è nessuno a sindacare, l’importante è il risultato finale.
Non è lo stesso con il paesaggio fotografico. È intuitiva e palese, in questo caso, la dipendenza maggiore dal dato realistico, che viene registrato appunto fotograficamente, senza scappatoie; e anche se ciò negli ultimi anni, in clima di fotoritocco digitale imperante, è obiettivamente meno vero, in assoluto, purtuttavia resta abbastanza plausibile e diffuso. Chi fotografa sul serio, e non solo per distratto diporto, oggi, si mostra fedele ad una concezione della fotografia in certo senso restrittiva, nella umile linea degli autori classici del passato che ancora non disponevano, né sentivano il bisogno, delle millanta possibilità contemporanee di correggere e stravolgere quel rettangolino di realtà catturato dall’obiettivo della fotocamera in una meccanica frazione di secondo.
Quindi il rapporto tra l’ambiente naturale e il fotografo resta tuttora generalmente diverso rispetto a quello tra l’ambiente naturale e il pittore. In un caso ha la possibilità di prevalere la creatività del modificatore; nell’altro, tende comunque a prevalere la fedeltà alla realtà del suo servitore. E, attenzione, non vogliamo per nulla stabilire delle graduatorie di merito o di valori assoluti: ci limitiamo a constatare due atteggiamenti vicini ma che permangono differenti, diciamo più cugini che fratelli.
E poiché il paesaggio del Duemila, nelle lande europee più che mai, appare quasi ovunque pesantemente inquinato dalla presenza umana, può essere interessante andare a individuare un altro “senso del paesaggio” laddove l’ambiente naturale resiste ancora poco antropizzato: ovvero nelle terre del Nord, le cui temperature rigide scoraggiano, almeno per buona parte dell’anno, una colonizzazione fitta del territorio. Non si tratterà dunque di terre assolutamente vergini – ma, questo sì, almeno poco usurate dall’insidiosa insistenza del parassita umano.
Spronati dall’esempio di una importante mostra ospitata nell’estate 2008 al Museo di Arte Moderna Arken di Copenaghen, Nordic Moods - Landscape Photography of Our Time, dove era possibile scoprire alcuni veri tesori di paesaggismo contemporaneo, siamo stati sollecitati dunque alla ricerca di un numero di talenti fotografici (di generazioni diverse) in grado di restituirci le sommesse eccitazioni che possono provocare, in noi mediterranei forse ancor più che in altri cittadini europei continentali, i panorami aperti e insinuanti dei settentrioni, risalendo su e su verso le maliose rarefazioni artiche.
Oltre alla giovane ma già giustamente celebrata Susanna Majuri (1978), fuoriclasse con insospettate doti di algida fattucchiera, di fronte ai cui misteriosi giochi d’acqua siamo subito capitolati, un secondo occhio finnico ci ha affascinato: quello di Martti Jämsä (1959), spalancato a fermare le dilatazioni del tempo bambino nel grande vuoto, quello inferiore d’acqua e quello superiore d’aria, in una sorta di panteismo mistico ignoto alle nostre ben più affollate latitudini. Ma le realtà nordiche, così aliene alle nostre assuefazioni sudiste, sono molteplici, e tutte più che degne delle nostre curiosità. Si potrebbe partire dal grado zero delle immagini della norvegese Herdis Maria Siegert (1955), che ci trasporta indietro fino all’inizio della settimana della Creazione, quando le acque si separano, si rapprendono e il ghiaccio diventa un disegno, paradossalmente, per quanto d’apparenza immobile, di un primo astratto presagio di vita futura. Il suo connazionale Dag Alveng (1953), viceversa, ci accompagna per mano tra le tiepide luci frementi estive del proprio giardino, in un’inattesa atmosfera di vacanza persino un poco sonnolenta. Il danese Adam Jeppesen (1978) preferisce la notte, purché non gelida, ma ne esplora le penombre come andando in cerca di troll, barcollante tra tremori e incanti. Le terre di Svezia ci offrono sia i tronchi d’albero di Gerry Johansson (1945), presenze con pelli di pachiderma, immobili ma viventi e forse giudicanti noi fin troppo mobili, sia le lente nebbie di Jeanette Land Schou (1958), che si espandono umide e inesorabili nei parchi vuoti e per le strade paurosamente quiete, allargando le proprie coorti di rugiade persistenti. E navighiamo per finire verso l’estrema Islanda, di cui Soffía Gísladóttir (1974) ci spalanca dinnanzi l’immediatezza quasi violenta di una natura elementare, tra prati sbocciati in fiore e monti brulli e calvi; e sulle cui vette ci porta in volo la freschissima Maria Kjartansdóttir (1980), a respirare l’aria rarefatta, assaggiare i silenzi della neve, dialogare coi venti polari, toccare con mano gli scricchiolii del ghiaccio.
Concludendo, una volta di più ci si conferma che lo sguardo del paesaggista è tipico: scruta fin lontano ed è fermo, essenzialmente orizzontale, e grandangolare, al servizio della verità e non troppo della fantasia, e non sfocato, e umilmente al servizio non solo di sé stesso ma di chi lo userà dopo di lui, per conoscere quella visione dopo di lui, con lui (o lei, constatata in questo caso la prevalenza femminile).
                                                                                                                     Ferruccio Giromini  
 
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