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Massimo Lovati: Il colore veloce Print E-mail
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In collaborazione con: Comune di Genova - Assessorato alla Cultura; Genova Musei; Musei di Strada Nuova; Centro di Documentazione per la Storia, l'Arte e l'Immagine di Genova.

Genova - Foyer Auditorium di Palazzo Rosso - 27 settembre/21 ottobre 2007

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Massimo Lovati è nato nel 1948 a Genova. Pittore e grafico, allievo di Rocco Borella, nel 1976 aderisce al collettivo R.E.C. (Ricerche Estetiche Concrete), successivamente è tra i fondatori del Centro di Produzione Visiva e allestisce laboratori didattici. Partecipa a diverse mostre collettive di prestigio tra cui Costruttivismo, Strutturalismo, Neoconcretismo, Nuova pittura (Genova 1977). Tra le mostre personali di rilievo: Strutture modulari (Palazzetto Rosso, Genova 1978) e Spazio Cromatico (Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, Genova 1979). Inizia a sperimentare in fotografia. È del 1981 la performance Automanifestazione e autoidentificazione corporea con l'uso della Polaroid. Sempre nel 1981, la mostra di elaborazioni monocromatiche Carene; nel 1982, la mostra di elaborazioni e libro in fotocopie Garibaldi vis à vis sé guardante precario doppio; nel 1983, al Teatro Comunale dell'Opera di Genova, la mostra in 9 foto-grafie San Giorgio e il drago, ironia di una assenza.

Negli stessi anni inizia le sue ricerche sul movimento e come logica conseguenza entra in contatto con lo sport. Inizia una sperimentazione su due versanti: verosimiglianza e de-formazione. La prima lo porta, con l'uso esasperato sia dei grandangoli che dei teleobiettivi, a esaltare l'azione, il gesto degli atleti; la seconda a reinterpretare creativamente le forme e i colori del movimento, del dinamismo, sia in fase di ripresa che in fase di elaborazione (prima chimica poi digitale).

La Forma e la De-Forma

Quello di Massimo Lovati è davvero un caso a sé. Come uomo, come fotografo, come artista. Separatamente, e nel complesso. In realtà queste sue tre facce si intrecciano, inestricabilmente, rendendo il risultato ancora più sorprendente delle singole parti.

Partiamo dall'artista, per passare attraverso il fotografo e l'uomo, per tornare infine all'artista.

Lovati infatti nasce al mondo come artista visivo, pittore e sperimentatore di forme e colori. Non è estranea a tali attività l'influenza di Rocco Borella e Attilio Carreri, artisti e insegnanti al Liceo Artistico e all'Accademia Ligustica di Belle Arti, che attorno a sé, negli ambienti genovesi degli anni '60-‘70 specialmente dediti alle ricerche ottico-percettive, avevano saputo stringere e crescere un buon numero di giovani creativi spesso loro allievi. La particolare sintesi tra le geometrie dell'arte concreta e le altrettanto rigorose licenze dell'informale, appresa dai maestri amici, lascerà un segno profondo anche nell'irrequieto Lovati, indirizzatosi decisamente verso l'attenta sperimentazione cromatica e formale.

L'adozione del linguaggio fotografico, avvenuta a cavallo tra gli anni '70 e gli '80, gli suggerisce nuovi orizzonti espressivi. La scomposizione e ri-composizione del movimento nello spazio, peculiare del fotoscatto, e di conseguenza la frammentazione anche concettuale delle forme sensibili, che il fotogramma isola e anatomizza e de-costruisce allo stesso tempo, gli paiono congeniali nel sospingerlo verso i suoi interessi di ricerca. Perciò il neo-fotografo, per natura dotato di un fisico possente e di uno spirito dinamico, in modo quasi inevitabile approda sui lidi della fotografia di sport.

È in questo settore che in brevissimo tempo Lovati si conquista una fama speciale, vasta e del tutto meritata. Il suo modo di operare procede su due binari paralleli: quello più "realistico", peraltro più adatto a trovare posto sul mercato dell'immagine documentaria e giornalistica, e quello più "interpretativo", con foto-grafie (come egli stesso ama definirle, volendo sottolinearne la pregnanza semantica di "scrittura luminosa") destinate al mercato dell'arte, fonte di una anche maggiore soddisfazione personale.

Da un lato, dunque, i suoi obiettivi seguono e congelano gli atleti nei momenti epici e spettacolari - classici - dell'evento sportivo: il movimento e lo sforzo fisico, le forme corporee come volumi scultorei, l'emozione della gara tra sconfitte e vittorie, e le mille concitazioni insite nella competizione. Sull'altro versante, ecco invece il cosciente e voluttuoso abbandono della forma riconoscibile per abbracciare la sorpresa sempre nuova della de-formazione: allungando ad esempio i tempi di otturazione dello scatto, muovendo la fotocamera lungo piani non paralleli al moto della corsa ripresa, i corpi si sfaldano, i colori esplodono come fuochi d'artificio, gli ambienti s'indefiniscono, le sagome metamorfosano, la realtà muta pelle e si trasforma in pura immaginazione onirica, pittorica.

Il trovarsi sempre in prima fila ai vari Campionati Italiani, Europei, Mondiali, Olimpiadi, via via per le varie discipline del nuoto, l'automobilismo, lo sci, il basket, l'equitazione, il rugby, il canottaggio, l'atletica leggera, il calcio, il motociclismo, la vela, e tutto il resto che si può immaginare, ha fornito a questo artista foto-grafico l'occasione di sperimentare in varie direzioni e con numerosi risultati complementari. Molto in anticipo sui tempi, nondimeno, ben prima dell'avvento delle tecnologie digitali tanto in ripresa quanto in postproduzione, già Lovati produceva immagini mai viste prima, di grande audacia visiva e di innovativa pregnanza estetica.

Forse le più note tra le sue opere sono quelle dedicate al nuoto, foto scattate a bordo vasca su tempi brevissimi e con felicissimi esiti spettacolari (la serie raccolta nella fortunata mostra itinerante Solid Water, dove l'altissima velocità dei corpi dei nuotatori si tira dietro le molecole d'acqua in incredibili veli, bolle, proboscidi, barbe, tute, cuscini, mille forme inedite che l'occhio umano da solo non aveva mai potuto registrare prima). Ma ogni forma di sport lo ha visto cimentarsi nel produrre la sua corrispondente de-forma: quasi come se la foga dell'agone che si svolge sul campo sia causa, a propria volta, di un'analoga concitazione nell'artista che la vuole fissare e interpretare a suo modo; come se lo sforzo del foto-grafo gareggi con quello dell'atleta; come se il senso della sfida dei propri limiti sia nell'atmosfera, si espanda dall'uno all'altro, si beva nell'aria condivisa e pervada tutto e inebri tutti. Anche noi, alla fine, che per ultimi partecipiamo, da lontano ormai, all'evento.

Massimo Lovati è un irruente, un individuo dalla personalità fisica e travolgente, un vortice a volte fin stordente di vitalità. Le sue opere, così anticonvenzionali, in parte lo rappresentano e in parte no. Ora capisci come nascano dall'esercizio quotidiano della sua imprevedibilità, dalla scelta coraggiosa del cimento a tutti i costi, dal suo senso ludico perfino; ora non capisci come gli riesca infine di governarle nella loro programmatica centrifuga anarchia, di riordinarle in tanta composta armonia, di trasfigurarle ed elevarle in una dimensione poetica. La realtà è lontana, piegata, superata, vinta.

Ciò che le grafie luminose di Lovati ci regalano è un'appendice inattesa a quanto già conosciamo, un improvviso extra di realtà - un occhio in più, veggente, tra i nostri due (solo) vedenti. È grazie alla sua tecnica di fotografo, alla sua impetuosità d'uomo, alla sua sottigliezza d'artista che vediamo l'invisibile, viviamo l'invivibile. Le sue gare le sa vincere anche lui, a modo suo.

Ferruccio Giromini

 
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